Mondadori 2015

Seconda tappa delle conversazioni con Alberto Riva, che si focalizza stavolta su un gruppo di favolosi musicisti.

Da Gorni Kramer a Henry Purcell, da Erik Satie a Frank Zappa, una galleria degli archetipi del mondo della musica in cui Louis Armstrong è il monello e Bill Evans l’alchimista, un racconto in cui Joao Gilberto ha diritto di essere guru e di chiamare a raccolta il bambino Nino Rota e la predestinata Belinda Fate per giocare a costruire castelli di sabbia che poi il mare chiederà loro di rifare il giorno dopo. Tutti insieme vanno a comporre un caleidoscopio di tipi umani in cerca della libertà di espressione.

La libertà di parola, innanzitutto. Esiste? Siamo molto bravi ad accorgerci della censura in luoghi distanti da noi, nel tempo e nello spazio. Ma fatichiamo ad ammettere che non siamo liberi neppure qui e ora. E il silenzio su questo argomento è il prezzo che si paga per essere accettati nella società in cui viviamo. Ci autocensuriamo anche nell’arte, nella musica. Molte volte sembra che sia il pubblico, questa entità difficile da immaginare e circoscrivere, a decidere quanto debba essere lungo il guinzaglio che hai al collo. Ma il pubblico si illude: in realtà è sempre l’artista a decidere quanto lungo dev’essere il guinzaglio. È l’artista a gestire la propria libertà. Ed è una questione di talento. Talento nel fuggire dal labirinto per trovare se stessi. Come ha fatto Frank Zappa.

Le formule, anche le formule musicali, chiamano gli spiriti. Io sono convinto che si viva in mezzo agli spiriti anche se, a livello conscio, non ce ne accorgiamo più. I popoli antichi ne erano sicuramente molto più consapevoli, prima della loro decadenza. Gli spiriti sono in tutto ciò che ci circonda, potenti catalizzatori e canalizzatori di energia, ed è la musica talvolta a renderli improvvisamente percepibili.

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